Possono essere analizzati, consigliati, ci si può ragionare insieme, minacciarli, picchiarli, rinchiuderli, ma essi non smetteranno finché non desiderano smettere.Testo Base pag. 74


Forse una delle più difficili verità che dobbiamo accettare nel recupero è che siamo impotenti nei confronti della dipendenza altrui, come lo siamo nei confronti della nostra. Potremmo pensare che, poiché abbiamo avuto un risveglio spirituale nelle nostre vite, dovremmo essere in grado di persuadere un altro dipendente a trovare il recupero. Ma ci sono dei limiti a quello che possiamo fare per aiutare un altro dipendente.

Non possiamo costringerli a smettere di usare. Non ci è possibile dar loro i risultati dei passi o crescere al loro posto. Non possiamo alleggerirli della solitudine o il dolore. Non c’è nulla che possiamo dire per convincere un dipendente spaventato a rinunciare alla miseria della dipendenza che gli è familiare per la terrorizzante incertezza del recupero. Non possiamo entrare nella pelle degli altri, cambiare i loro obiettivi o decidere per loro cosa sia meglio.

Eppure, se evitiamo di esercitare questo potere sulla dipendenza degli altri, possiamo aiutarli. Possono crescere se lasciamo che guardino in faccia la realtà, per quanto penoso possa essere. Possono divenire più produttivi, secondo il loro modo di concepirlo e di esserlo, quando non cerchiamo di farlo al posto loro. Possono diventare delle autorità per quel che riguarda la loro vita, a patto che noi siamo delle autorità solo per la nostra. Se accettiamo tutto questo, possiamo diventare ciò che intendevamo essere: portatori del messaggio, non del dipendente.


Solo per oggi: Accetterò il fatto di essere impotente non solo nei confronti della mia personale dipendenza, ma anche di quella di ciascun altro. Porterò il messaggio, non il dipendente.