Sono nata in una famiglia agiata e incasinata. I miei genitori in poco tempo misero al mondo tre figli: il maschio tanto desiderato nacque per ultimo con un grave handicap. Questo polarizzò l’attenzione dei miei: viaggi in Svizzera, operazioni ecc., e io mi ritrovai a occuparmi emotivamente della mia sorellina più piccola di undici mesi.

Poi arrivò l’età dei primi flirt e la mia attenzione una sera in discoteca si concentrò su un ragazzo più grande di me con una macchia di sangue sui pantaloni bianchi. Mi rivelò che si drogava e io intrapresi subito la “missione” di salvarlo. Ero contraria all’uso di qualsiasi droga, ma non capivo come poteva la droga essere più forte di quel ragazzo che diceva di amarmi sinceramente e poi mi rubava i soldi ed era sempre fatto.

Come poteva l’uso di droghe essere più forte dell’amore? Allora sarebbe stato anche più forte di me? No, non c’era una cosa più forte di me, della mia volontà, e io che ero già in sfida volevo provare, sicura che avrei smesso quando avessi voluto! Cominciava così un dramma, e avevo solo diciassette anni.

Fu compulsione prepotente da subito, oltre che con l’eroina, con l’alcool e il suo ‘dolce’ potere lenitivo, e anche con i farmaci che mi aveva prescritto il medico curante a cui chiesi aiuto quasi da subito. Infatti mi accorsi dalla prima sbronza che avevo un problema più grande di me, più della mia volontà, dei miei principi e desideri, più forte di tutto. Non riuscivo più a smettere.

A diciotto anni mi sposai con un ragazzo che usava e spacciava, ma non si bucava e mio padre ci aiutò pensando così di proteggermi da quello della discoteca, che non riusciva a smettere e che improvvisamente si suicidò, proprio mentre ero in viaggio di nozze, fattissima, e già in grave disagio emotivo. Quella morte fu uno shock terribile e dato che non sono morta di overdose anche io, ubriaca e impasticcata in qualche vicolo, a questo punto ringrazio le droghe: senza forse sarei impazzita del tutto.

Il mio matrimonio crollò miseramente e non mi rimase che andarmi a chiudere da qualche parte: a diciannove anni ero già in una comunità all’estero, dura, lavorativa e con un metodo di disintossicazione folle: a secco, da un giorno all’altro. Stetti malissimo, mentre mi obbligavano a camminare tutto il giorno in mezzo ai boschi e a bere ogni tre ore un’orrenda tisana che vomitavo, urlandomi in un’altra lingua: “Togliti le paranoie dalla testa!”.

Non dormii per ventidue giorni.

Anche lì sono quasi impazzita. Progettavo come suicidarmi, ma ero controllata a vista. Era peggio di un lager e ti mettevano le mani addosso.

Ci rimasi quasi due anni, pensavo di non avere scelta e alla fine “funzionò”, finché ero lì, perché appena tornai a casa ripresi a usare e passarono anni di uso folle e terrore per le comunità. Tanti anni furiosi tra overdose, rocamboleschi incidenti d’auto, terribili astinenze e ancora ricoveri volontari ovunque, tre arresti e penose fughe geografiche.

Quando sono spiritualmente centrata mi rendo conto del miracolo che io sia viva e di quanta protezione “sovrannaturale” io abbia ricevuto; di come la mano di “Dio”, come posso concepirLo, mi abbia protetta, come abbia miracolosamente operato affinché io sia qui a scrivere oggi di tutto questo, nonostante me e la mia potente dipendenza attiva.

Incontrai il programma proprio dopo un goffo tentativo di suicidio (quasi riuscito) che era più una richiesta di aiuto, un gesto disperato dopo l’ennesimo ricovero, disintossicazione dal metadone e ricaduta. Ero disperata.

Feci tre giorni al reparto coronarico, attaccata al respiratore. Sopravvissi per miracolo. Questo mi toccò profondamente, in un certo senso mi “riportò alla ragione”: disperata ma grata per essere sopravvissuta andai di nuovo al Sert del paesino al mare dove sin da piccola andavo in vacanza. Chiesi dell’antaxone che poteva aiutarmi a non drogarmi, che mi “ammanettasse” alla pulizia, che non riuscivo a conseguire in nessun modo. Volevo vivere pulita, non volevo altro. Penso che davvero fossi pronta e che per questo trovai affisso sulla bacheca un volantino con gli indirizzi di certe riunioni e un messaggio molto semplice: “Hai problemi con le droghe? Forse noi possiamo aiutarti. Chiama Narcotici Anonimi”. Lo staccai e lo presi, incapace anche di copiarlo. Tornai nella mia città da cui mancavo da quattro anni, e chiamai; la sera stessa andai alla mia prima riunione, ubriaca, disperata, spaventata. Vidi un sacco di gente che entrava e usciva, confusione e sorrisi. Non capii nulla, ma tornai alla seconda riunione e ricordo che pensai: “Questo è diverso da tutto quello che ho sempre trovato, qui forse posso farcela”.

Non fu una passeggiata: la compulsione verso l’alcool era tremenda, non riuscivo ad arrivare mai sobria alla riunione. Spesso collassavo lì e dovevano riportarmi a casa. Condividevo ubriaca, con una bottiglia di Jack Daniel’s nella borsa, rubata al supermercato sotto casa dei miei, che per pietà erano tornati ad accogliermi. Avevo trentatré anni ed ero ridotta ai minimi termini, avevo tolto le droghe, ma ero gonfia di alcool e farmaci, spezzata nello spirito, e distrutta nel corpo.

Dovetti quindi ricoverami di nuovo in un centro di trattamento per disintossicarmi, per fortuna mi fu suggerito da alcuni membri di NA un posto vicino alla mia città, che trattava la persona con la dignità di un essere umano con una malattia: la dipendenza; ed era basato sui principi del programma dei Dodici Passi.

Rimasi a collaborare lì per nove anni e mi sposai con il co-fondatore. Fu un’esperienza bellissima ma negli anni la frequenza alle riunioni si diradò, scivolai in comportamenti disonesti e tornai a stare così male che ricaddi con i farmaci senza neanche rendermene conto subito.

Mi separai anche dal mio secondo marito e successivamente lui, che era sieropositivo da anni e rifiutava le cure tradizionali, morì soffrendo molto. Fu un dolore così forte per me, così penosa la consapevolezza di tutto, compresa la mia ricaduta, che pensai di non farcela.

Seguirono anni durissimi, disastrose relazioni sentimentali, senso di vuoto e inutilità, e undici mesi di interferone che quasi mi uccisero, ma che funzionarono e sconfissero l’epatite C.

Per fortuna tornando nella mia città ero vicina alle riunioni: cominciai un incessante lavoro su me stessa con il programma, che prosegue a tutt’oggi.

“Dio” ha cominciato a stupirmi davvero: tre anni fa un mio caro amico dei primi tempi d’uso, che tredici anni prima avevo portato al mio primo compleanno in NA, finalmente si decise a intraprendere il programma, rimase pulito e, inaspettatamente per entrambi, è il mio attuale terzo marito (e speriamo l’ultimo!); siamo molto felici insieme.

L’anno scorso, sempre lì in quel paesino al mare, dove anziché in fuga o a nascondermi, ero in vacanza con lui, viaggiavamo in autostrada verso la riunione di NA più vicina.

Ogni volta che andiamo passo a prendere una mia ex sponsor, che è diventata una cara amica e lei ci raccontò di essere stata proprio lei, circa 18 anni prima, a contattare il responsabile del Sert. Sì, proprio di quel Sert sperduto in quel paesino tra le colline dove presi gli indirizzi delle riunioni. Fu lei a parlare a quello psichiatra disponibile e umano dell’esistenza di Narcotici, Anonimi pregandolo di affiggere quel volantino.

Torno ciclicamente in quel Sert e ovunque dove posso metto gli indirizzi delle riunioni.

Vedo l’esistenza di un disegno più grande di me in tutto quello che mi è successo.

Si dice che le coincidenze siano “l’anonimato di ‘Dio”.

L’anonimato, il fondamento spirituale di tutte le nostre tradizioni: Dio sa davvero come usarlo!