Da adolescente non avevo idea di quale strada imboccare per diventare un uomo che mi piacesse. Gli adulti che vedevo non mi piacevano, non volevo diventare infelice come loro. Sognavo un mondo più semplice, fatto di valori morali, dove lo scopo non era accumulare soldi. I miei genitori erano separati di fatto, anche se vivevano nella stessa casa. Mio padre si alternava tra due case, oltre a non disdegnare avventure, ma per la sua morale non voleva altri figli oltre a me. Sono figlio unico e mia madre, pur accettando un finto matrimonio, accumulava rabbia. Vivere con lei non era facile e non mi piaceva tutta questa recita perbenista. Non so se questa sia stata la causa della mia dipendenza o se sia stata una delle cause. Nel 1968 avevo diciassette anni e quella fu una fortuna. Potevo vedere persone che non accettavano i compromessi, che erano felici anche se vivevano fuori dagli schemi. Era la freak generation, quella dei figli dei fiori. Quella era la mia strada e vedevo che la parola nuova la portavano scrittori, musicisti, artisti e pensatori, tutti vestiti colorati e con i capelli lunghi. Sarebbe stato meraviglioso cambiare pacificamente il modo di stare al mondo. Tra le libertà della freak generation c’era anche l’uso di droghe. Da adolescente avevo fatto le prime esperienze, ma erano saltuarie ed erano droghe definite leggere. Non cambiavano le mia vita. Mentre facevo l’università ho iniziato a bucarmi. Riuscivo a studiare e a lavorare con successo. Misi tra le bugie che mi venivano raccontate lo slogan caro al governo di allora: “Se ti droghi muori!”. Io non ero morto, anzi avevo acquistato maggiore sicurezza non solo sul lavoro ma anche nei rapporti sentimentali o semplicemente sessuali. L’assenza di sentimenti mi permetteva di affrontare con freddezza ogni situazione. Poi, però, la droga ha cambiato la mia vita. Si era mangiata la mia passione per lo sport, mi ero isolato, mentivo sul lavoro e con la mia compagna. Avevo ogni giorno lo stesso scopo: trovare i soldi per comprare la droga, andare agli appuntamenti con il pusher perché non era ancora l’epoca dei cellulari, evitare di essere arrestato o truffato, quindi iniettarmi la droga subito, appena comprata, spesso nella mia auto. Facevo una vita apparentemente normale, anche se non lo era affatto. Tutti i giorni dovevo trovare soldi per drogarmi e non mi bastava ciò che guadagnavo. Avevo anche prosciugato i risparmi. La mia dipendenza mi spinse a rubare, a truffare. Andai in galera e persi il lavoro in cui avevo avuto successo. Trovai un altro lavoro, ma all’estero. Una fuga geografica perché andai a vivere in Sudamerica, dove era quasi impossibile trovare la mia sostanza d’elezione che pensavo fosse il mio vero problema. Cambiai sostanza e ci aggiunsi l’alcol. Conobbi mia moglie che non aveva nulla a che fare con le droghe.

Tornai in Italia convinto che tutti avrebbero compreso che ero tornato la persona di prima delle droghe. Pensavo che avrei ritrovato il mio vecchio lavoro. Avevo le braccia senza segni di buchi recenti, non ero più magro allampanato, avevo una moglie normale. Non riuscii a convincere i miei ex-colleghi, ma mia moglie mi dava fiducia. Trovavo lavori di “serie B”, pagati poco. Cercavo di imparare a drogarmi saltuariamente, di nascosto da famiglia e vecchi amici, senza andare a rubare, senza passare le ore ad attendere il passaggio dello spacciatore. Mi era rimasto un solo amico, conosciuto nel girone infernale dei disperati e, parlando con lui, continuavo a pensare che sarebbe stato meraviglioso cambiare il modo della gente di stare al mondo. Nella mia testa era ancora un progetto realizzabile e non mi rendevo conto che ero una larva di uomo. Per negare a me stesso la mia intossicazione, evitavo di bucarmi il sabato e la domenica, ma prendevo dosi alte di farmaci per coprire l’astinenza. Ogni lunedì, come mi iniettavo la droga collassavo e mi salvavo solo perché con me c’era il mio ultimo amico. Cercavo di comprendere perché non riuscissi a drogarmi socialmente, senza fare danni. Un’estate lasciai ogni droga per girare un mese in barca a vela. Superai l’astinenza, stavo bene, mi sentivo ringiovanito. Tornato nella mia città, il mio compagno di regate mi propose di festeggiare andando a cena, poi comprammo un grammo di droga da inalare. Consumammo un po’ dello stupefacente acquistato, poi ognuno andò via con la propria bustina. Dopo una settimana il compagno di regate mi chiamò per rivederci e consumare insieme la droga avanzata. Incredibile! Lui l’aveva messa in un cassetto senza toccarla, io la sera stessa l’avevo finita, ne avevo ricomprata il doppio e non avevo più smesso. Tra noi c’era una differenza, ma non capivo quale fosse. Pensavo di essere un debole, un vizioso, un uomo senza carattere. Eppure in mezzo al mare questa differenza non si notava. Nel frattempo mia moglie non ne poteva più di vedermi allo sbando con l’angoscia di essere avvisata da una telefonata che ero in un ospedale, in carcere oppure morto. Incominciò a frequentare i gruppi per familiari di dipendenti e mi disse che nella stessa chiesa c’era anche un gruppo di Narcotici Anonimi. Due giorni prima avevo consumato droga con un uomo che frequentava NA e mi disse che non era necessario aver smesso per partecipare alle riunioni. Andai a una riunione, mi piacque. Era come stare con vecchi compagni di vita freak, condividendo le idee ma senza drogarsi. Cercavo di capire dove fosse il trucco, ma non c’erano trucchi. Non mi piaceva che le riunioni si svolgessero nelle chiese cattoliche, ma mi spiegarono che era un fatto prettamente italiano e che non c’era una religione ufficiale in NA, così come mi spiegarono che Potere Superiore era una Forza più grande di me, magari più persone insieme e non necessariamente il Dio dei cattolici. Non ero un credente e per essere accettato non volevo aderire a una religione che non sentivo. Nel gruppo ho pensato che non erano sbagliate le mie idee da uomo libero, ma era sbagliato che mi drogassi. Mi sentivo rincuorato anche se lo sponsor mi spiegò che per fare il Primo Passo dovevo rimanere pulito da tutto per 24 ore al giorno e sforzarmi di mettere in fila più giorni di pulizia possibile. Mi venne da piangere a pensare che non avrei più provato le emozioni che avevo conosciuto agli inizi dell’uso di droghe. Forse era la paura di crescere, iniziavo una nuova vita. Mi aiutò molto fare servizio fino dai primi giorni. Narcotici Anonimi esisteva in Italia da poco più di dieci anni, ma eravamo pochi. Tutti dovevano fare servizio per mantenere aperti i gruppi. Un membro del gruppo di trasferì in un’altra città e, con lo sponsor in comune, gli andavamo a dare supporto, magari dormendo su un divano. Dopo 1 anno e 8 mesi di tempo pulito venni eletto rappresentante della mia area al Comitato di Servizio Italia e già mi sembrava di essere chiamato a svolgere un compito difficile. Non immaginavo che, quando non avevo ancora due anni di pulizia, i membri di altre aree mi chiesero di candidarmi al servizio di vice coordinatore nazionale. Era estate, in inverno il coordinatore si dimise e si sfaldò il Comitato organizzatore della Convention italiana. Il mio compito da difficile diventò enorme, ma riuscii a farlo. Mi dette una grande spinta a crescere nel recupero. Il giorno in cui venni eletto coordinatore del Comitato di Servizio Italia venne con me il mio vecchio amico della piazza, che aveva tre giorni di tempo pulito. Era un mio buon amico che avevo abbandonato senza salutare quando iniziai il recupero. Un giorno decisi di andare a cercarlo per salutarlo e portargli il messaggio di NA, rischiando perché ci andai da solo. Gli lasciai qualche opuscolo e scappai via. Dopo due anni anche lui decise di intraprendere il percorso di recupero e continuo a frequentarlo. Succedono cose incredibili e meravigliose in Narcotici Anonimi.